LORENA
Le luci della discoteca, seguendo il ritmo della musica, si accendevano e spegnevano con perfetta cadenza: il giallo, il rosso, l’azzurro, il verde esaltavano la mente ed eccitavano il corpo di tanti giovani che avevano deciso di trascorrere un sabato sera spensieratamente.
Marco, Mattia, Lorena ed Angela erano amici da sempre: dalle elementari a quell’ultimo anno delle superiori ne avevano fatta di strada insieme! La loro amicizia era cresciuta nel tempo, così come le loro aspirazioni e i loro sogni erano diventati più dettagliati.
Marco, un ragazzo bruno, alto, dal volto coperto da una leggera peluria, era figlio di un ingegnere ed aveva il sogno di seguire le orme paterne, diventando un giorno ingegnere informatico. Per lui non esistevano difficoltà di nessuna sorta sapeva programmare e navigare in internet, il suo portatile lo seguiva ovunque, vi passava ore intere visitando siti per cercare così le giuste risposte ai suoi dubbi informatici. Aveva da sempre corteggiato Lorena, una longilinea diciassettenne, bionda, dal carattere un po’ chiuso e sempre indecisa. I suoi profondi occhi azzurri facevano venire in mente due polle di acqua cristallina che facilmente si incontrano nelle valli montane, a guardarli ci si poteva specchiare erano puri come il riflesso della sua anima di adolescente che si apriva alla vita. Spesso il suo bisogno di solitudine, di sentirsi a tu per tu con il suo mondo, i suoi pensieri, i suoi sogni era stato frainteso e scambiato per scontrosità. Difficilmente si confidava con qualcuno, lo faceva volentieri solo con Angela, cui chiedeva qualche consiglio che la indirizzasse nelle scelte più importanti.
Angela era anch’essa diciassettenne, ma più matura di Lorena, dai capelli e dagli occhi castani intensi, brillanti, dal temperamento forte, aveva capito da qualche anno che il sentimento che provava per Mattia si era trasformato pian piano in amore. Glielo aveva detto proprio lei una sera mentre ballavano: era lui l’uomo della sua vita, con lui avrebbe avuto una vita serena, dei figli, anche se non avrebbe certamente riposto nel cassetto il suo sogno di diventare avvocato.
Mattia, un ragazzo dal carattere docile, dal sorriso dolcissimo, ne era rimasto stregato, l’amava certamente anche lui, ma prima di vedere realizzato quel loro sogno sapeva benissimo che avrebbero dovuto superare tanti ostacoli, ma insieme a lei sarebbe stato più facile. Gli piaceva essere preso per mano da Angela, essere condotto dove lei valeva perché così anch’egli voleva. Un giorno assieme avrebbero aperto uno studio legale, avrebbero iniziato la loro carriera forense che Mattia sognava ricca di successi. Magari avrebbero fatto la prima esperienza nel piccolo paese di provincia dove il nonno di Angela. aveva uno studio avviato. Da suo padre non poteva ereditare nient’altro che il ricordo di una presenza buona, ma sfumata nel tempo: era morto quando lui aveva appena sei anni e si affacciava alla vita, quando avrebbe avuto maggiormente bisogno dei suoi consigli, del suo calore.
I quattro amici ballavano come sempre mischiati a tanti altri giovani che, come loro, avevano tanti sogni, ma forse poche certezze. La maggior parte sembrava trovarsi lì con il corpo, mentre con la mente vagava in mondi lontani, gli occhi stralunati, inebetiti, le gambe seguivano la musica, ma spesso si reggevano a stento in un equilibrio per niente stabile. Altri erano molto euforici, ridevano in maniera scomposta raccontando barzellette spinte e facendo pesanti complimenti alle ragazze, alcune delle quali sembravano apprezzare quelle battute poco serie e quelle occhiate provocanti e ammiccavano anche loro. Del resto erano proprio lì per divertirsi, erano da qualche tempo abituate a passare da un ragazzo all’altro, da esperienza a esperienza, da amore ad amore o meglio da attrazione ad attrazione.
La musica assordante, ad alto volume, vibrava nelle vene e nei muscoli dei ragazzi che si stordivano così illudendosi di evadere dal grigiore di ogni sera, che avrebbe portato loro esperienze nuove, ma che nello stesso tempo avrebbe lasciato nel loro cuore la stessa insoddisfazione di sempre. Pensavano di poter colmare così, con altrettanto vuoto, l’inconsistenza del loro essere, il bisogno di sentirsi vivi, realizzati. Ma in che cosa? Con che cosa? Magari, e perché no, con una pasticca che li avrebbe caricati di nuove energie, che avrebbe stordito la mente e stancato il corpo ed inebriato i sensi.
I quattro ragazzi si erano sempre tenuti lontani da queste esperienze, evitando amicizie occasionali e facendo quadrato tra di loro, forti della loro sincera amicizia. Chi li conosceva provava una certa invidia nei loro confronti, sembravano superiori, puliti, intoccabili, qualcuno aveva tentato di rompere quel perfetto equilibrio che c’era tra di loro, ma era soltanto riuscito a farli discutere un po’, senza però arrivare ad incrinare i loro sentimenti.
Quella sera però aleggiava nell’aria qualcosa di strano, specialmente Lorena era più taciturna del solito, aveva ballato pochissimo ed era rimasta seduta al tavolo davanti al suo bicchiere ancora pieno di Coca cola e, avendo fumato qualche sigaretta di più, avvertiva un leggero mal di testa che presto l’avrebbe costretta a rientrare a casa da sola, non volendo rovinare il sabato sera agli amici. Li salutò da lontano mentre erano in pista a ballare; si sarebbero rivisti lunedì a scuola. Davanti all’ingresso le si parò davanti Alberto, un futuro dottore iscritto all’ultimo anno. Lei lo conosceva soltanto di vista perché era stato fidanzato di una sua compagna di classe ed aveva fama di essere un don Giovanni . "Che fretta !! Dove corri? La notte è ancora giovane" – le disse, sbarrandole la strada. La invitò a sedersi con lui ad un tavolo all’altro lato della pista e lei, per non sembrare sgarbata, lo seguì, "Grazie, ma solo per un poco, poiché ho un leggero mal di testa" gli rispose gentilmente. Alberto le offrì una Coca, ma lei accettò solo un bicchiere di acqua brillante. Parlarono un po’ della scuola, dei loro conoscenti comuni, poi lei insistette che voleva tornarsene a casa. Avvertì nell’alzarsi un leggero capogiro ed una sensazione strana le attraversò le vene e le penetrò il cervello, ad un tratto il suo mal di testa sparì e divenne euforica, allegra, sfacciata. Alberto la prese per la vita e l’avvicinò a sé, e lei si sentì pervasa dell’intenso profumo che emanava il corpo di lui, lo guardò come se lo vedesse per la prima volta e si accorse che era proprio un bel ragazzo. "Come mai non l’avevo notato prima?" Si chiese Lorena. Alberto allora le propose di finire assieme da qualche altra parte quel sabato sera iniziato così male con la solita compagnia di amici. Lorena accettò volentieri la sua proposta e inconsapevolmente lo seguì. Alberto, che si aspettava questo suo cambiamento di umore, anzi l’aveva programmato versandole nell’acqua qualcosa che l’avrebbe resa sua facile preda, ora non doveva fare altro che muovere un dito per averla, per cogliere quel fiore che altrimenti non avrebbe mai potuto fare suo ed aggiungere alla collezione delle sue conquiste galanti. La portò in macchina dove fu lei a fare il primo passo.
La riaccompagnò a casa, anche se lei si stringeva ancora a lui, lo abbracciava e baciava come non aveva mai fatto con nessuno, ridendo in maniera incontrollata. Giunti sotto il portone, Alberto aveva fretta di scaricarla dopo aver soddisfatto i suoi sensi, ma Lorena, non, capendo niente di tutto ciò, lo attirò a sé, lo baciò sulla bocca e gli diede appuntamento per l’indomani.
Andò a dormire di un sonno pesante come una roccia. Sognò fiumi da guadare e monti da scalare, ma lei ci riusciva da sola e raggiungeva la vetta, trionfando su tutto e su tutti.
Al mattino sua madre, per non vegliarla, riordinò la casa in silenzio, senza fare il minimo rumore, sapendo che la figlia aveva fatto tardi la notte in discoteca con gli amici di sempre. Si svegliò nel pomeriggio con un forte mal di testa e ricordò soltanto che, uscendo dalla discoteca, aveva incontrato Alberto, con cui aveva bevuto qualcosa. Poi nella sua mente c’era come un vuoto. Cosa aveva fatto dopo? Come era tornata a casa? Un vuoto totale!
Quel lunedì rivide a scuola i suoi amici, lei era quella di sempre: indecisa, insicura, ma più svogliata del solito. Le ore di lezione erano poi un supplizio, non riusciva a concentrarsi, seguire quello che i professori con voce monotona cercavano di fare entrare nella sua mente che invece rincorreva altri pensieri, indistinti, irreali, soprattutto nuovi per lei. Angela, seduta al suo fianco, vedendola distratta, si era accorta che qualcosa frullava nella mente dell’amica che, se chiedeva di andare al bagno, non valeva che l’accompagnasse. Con lei non aveva mai parlato di quello strano sabato sera, anche se aveva ripreso ad uscire con i suoi amici di sempre, andando in discoteca quasi ogni sabato. Passavano i mesi e si sentiva sempre più svagata, le riusciva sempre più difficile studiare, concentrarsi, ripetere, seguire. La mattina quando andava in bagno le capitava di vomitare e spesso anche la sera avvertiva una forte nausea. Di questo però non parlo con nessuno, né dell’atroce dubbio di essere incinta. Ma "di chi"? Si chiedeva, com’era possibile, se non aveva mai avuto un rapporto completo con nessuno? Marco la corteggiava, ma Lorena non aveva ancora deciso se quello era l’uomo della sua vita. Tra loro c’era stato sì qualche bacio, ma niente di più. Non trovava nessuna logica spiegazione per quello che le stava succedendo. Forse era malata, aveva contratto qualche virus, uno di quelli che prendono allo stomaco, ma avrebbe dovuto avere la febbre… Passavano i giorni e si ritrovò con il pancione, che fortunatamente era ancora appena accennato e poteva nasconderlo con dei vestiti un po’ meno aderenti che del resto era solita portare. Se quello estetico era un problema, ben più grave e nello stesso tempo misteriosa era invece la causa dello stesso. Come era possibile che lei aspettasse un figlio? Perché, ora era certa, aspettava un bambino, ma di chi era figlio? Come poteva esserle successo?
Uscendo da scuola le capitava di incontrare davanti ai portici Alberto, che invece sarebbe dovuto essere all’università, notava che era come se le volesse comunicare qualcosa con gli occhi con il suo sguardo, ma lei arrossiva e si limitava soltanto a salutarlo freddamente.
Una mattina la fermò per strada prima che entrasse a scuola; Lorena era pallida più del solito, Alberto le chiese come stava e lei rispose infastidita che stava bene e poi che significava questa sua intrusione nella sua vita privata? Alberto, la prese fra le sue braccia e guardandola negli occhi le disse che da quel sabato sera non aveva smesso di pensare a lei, che era diventata la sua ossessione. Ma "quale sera ?" gli chiese Lorena , se tra loro non c’era stato mai niente, perché adesso pensava a lei?
Alberto per tutta risposta la baciò sulla bocca, ma lei cercava di divincolarsi da quell’abbraccio che non si aspettava, quando ci riuscì cominciò ad urlare, mentre nel suo utero senti suo esserino muoversi più del solito. Suo figlio le mandava forse un segnale? A questo punto le si aprì come un velo nella sua mente annebbiata e rivide Alberto chino su di lei sul sedile posteriore della sua macchina. Fu come un lampo: era quello il padre del suo bambino, che forse con i suoi movimenti più intensi le comunicava che era contento di incontrarlo. Scappò via, lasciando Alberto sotto lo sguardo indagatore della gente che era accorsa in sua difesa. Quel giorno Lorena non andò a scuola, decise di farsi visitare da un ginecologo, andò da quello di sua madre, pregandolo di non svelarle quel segreto. Era proprio incinta da quasi tre mesi. Se voleva abortire le rimaneva poco tempo per decidere se quella così terribile soluzione fosse l’unica per risolvere quel "problema" che, come diceva il ginecologo, non era un problema, ma per lei sì che lo era… e molto grave.
Era sola, non poteva confidarsi con nessuno che le avrebbe potuto dare un consiglio veramente giusto e soprattutto obiettivo senza lasciarsi forviare da alcuna emozione…
A questo punto la storia ha una sua conclusione, ma quella che io ho pensato non è l’unica possibile, quindi invito chi ha letto questa storia di inviarmi un’e-mail all’indirizzo: ninavalenti@mistretta.eu con un epilogo che, a suo avviso, sia quello più logico. Sarà mia cura pubblicare i più interessanti assieme anche alla conclusione che io ho già scritto.
Alessandra, la mia cara ex-alunna, ora mia carissima amica, sempre pronta a cogliere ogni stimolo culturale, mi ha inviato questa sua conclusione:
"Ad un tratto Lorena ebbe chiara la visione di ciò che era accaduto, di come la sua vita sarebbe cambiata, di come tutti i suoi sogni fossero come svaniti d’improvviso!
A casa , seduta sul dondolo, nel porticato, stava ferma a contemplare la sua solitudine, il suo sguardo assente, triste, quasi disperato:cosa avrebbe potuto fare ormai? Lei di famiglia religiosa, lei profondamente legata a certi principi morali non avrebbe mai potuto “buttar via” suo figlio, già, perché era anche suo figlio, ma allo stesso tempo immaginava la sua vita accanto ad Alberto …
Che vita sarebbe stata? Una vita piatta, scialba e senza alcun interesse comune senza amore … e, pensando a ciò, rivedeva le lunghe passeggiate al mare in cerca di conchiglie o di pietruzze di vetro, levigate delle onde del mare, con l’ amico Marco che sapeva tutto di lei, l’uomo con il quale aveva condiviso tutto ogni singolo istante della sua vita, la persona che aveva immaginato come padre dei suoi figli. Ma come? Come dirglielo? Solo lui avrebbe potuto capirla, ascoltarla, consigliarla, aiutarla …
E come per un richiamo telepatico, succede fra due persone che si vogliono bene di pensarsi nello stesso momento, le arrivò un sms sul cellulare. Era di Marco che preoccupato per il suo atteggiamento degli ultimi tempi, le scriveva parole affettuose:
“AMARE SIGNIFICA VOLER CONDIVIDERE E VIVERE LA PROPRIA VITA CON UN’ALTRA PERSONA AL FINE DI DIMEZZARE LE SOFFERENZE, RADDOPPIARE LE GIOIE, LA FELICITA’ E LE BELLEZZE CHE LA VITA STESSA TI OFFRE DURANTE IL SUO PERCORSO TORTUOSO… SOLO COSI’ SI PUO’ MIGLIORARE LA NOSTRA ESISTENZA! TI AMO TANTO! Parliamone!”
Letto questo sms, Lorena scoppiò in un pianto liberatorio, e presa di coraggio gli scrisse “IDEM! Ho bisogno di te!”
Lui era già lì, seduto in macchina che aspettava trepidante solo un segnale per correrle incontro: era questo il segnale che aspettava, era pronto ad ascoltarla!
Insieme, mano nella mano, si trovarono a camminare sulla spiaggia … affrontarono il problema e,conoscendosi così bene, non vi fu bisogno di domande, di spiegazioni: il problema esisteva e andava affrontato ,insieme, così com’era!
Dopo l’esposizione dolorosa dei fatti da parte di Lorena nell’ammettere di non sapere, di non aver voluto, ma di aver vissuto questo trauma che le aveva lasciato un segno così profondo sia fisico che psicologico , alle sue richieste d’aiuto, ai suoi “adesso come faccio? Come da sola?” ecco che Marco la strinse a sé e le disse che tutto ciò che era scritto nel suo sms racchiudeva la vera essenza del suo pensiero: l’amava e sarebbe stato disposto a tutto per lei, anche ad accettare e crescere un figlio non suo! Sarebbe stato il loro segreto.. e così fu!
Quella sera fecero l’Amore x tutta la notte … i loro sensi provarono la pace finalmente nel vivere quegli attimi di passione … era un momento speciale, magico, un momento di amore! Avvinghiati l’un l’altra, si sussurravano parole dolci: “Ho bisogno di te!-le disse Marco – Già, entrambi avevano bisogno di stare insieme! Questo è amore:vivere l’uno del bisogno dell’altra e non perdersi mai …
Da lì a breve grandi preparativi, forti emozioni e furono marito e moglie e nello stesso tempo padre e madre di un meraviglioso bambino che chiamarono con il nome di Leonardo, come il grande artista Leonardo da vinci! Un paffutello esserino che somigliava tutto alla sua mamma, ma che avrebbe avuto un grande amino, un gran coraggio nell’affrontare la vita come Marco, suo “padre”.
“Ma che fine ha fatto, vi chiederete- Alberto in questa storia?”
Beh, dopo essere diventato un medico specialista in ginecologia, con una vasta clientela, perché ci sapeva fare soprattutto con le donne, venne arrestato per avere drogato e violentato delle minorenni … non seppe mai di Leonardo, come nessun altro..
Rimase per sempre un segreto tra due giovani amanti-sposini dall’amino buono! "
MARTINA
Le onde del mare, un po’ agitato si infrangevano con cupo rumore sulla battigia e trascinavano una schiuma scura, opaca che lasciava dietro di sé detriti di alghe, armai secche, sul bagnasciuga. Un cielo grigio, velato si specchiava sul mare perdendosi nell’orizzonte infinito. Nessuno quella mattina era sulla spiaggia a prendere il sole settembrino, un sole pallido, malaticcio. Due soli gabbiani si rincorrevano sull’orizzonte, sussurrandosi parole aspre e senza tempo. Gli ombrelloni e le sdraio sembravano dimenticati chissà da quando, eppure il giorno prima grida gioiose e castelli di sabbia di bambini, suoni provenienti da radioline a transistor, canzoni di qualche juke box portate nell’aria dal vento leggero, risate argentine, sguardi spensierati avevano riempito quel luogo, invitando i bagnanti a tuffarsi nell’azzurro del mare.
All’improvviso una goccia d’acqua le bagnò il viso, annunziando l’imminente temporale. Sarebbe stato logico correre a casa o cercare un riparo sotto la pensilina del lido deserto, ma Martina non fece nulla di tutto questo, anzi si distese e lasciò che quell’acqua, che veniva giù, ora più intensa, la bagnasse tutta. Avvertì dapprima un leggero contrasto tra le gocce che inzuppavano i suoi leggeri vestiti ed il tepore che proveniva dalla sabbia ancora calda che sotto di lei aveva creato come un alveo, un cantuccio che la riportò indietro nel tempo… Si sentiva protetta come lo era stata nel ventre materno. La pioggia, sempre più fitta, con i suoi fiotti le scompigliava i capelli, si insinuava tra le pieghe del suo corpo cui avevano aderito i vestiti, ormai madidi d’acqua, formando una seconda pelle sulla sua pelle abbronzata. Rimase inerte un tempo infinito, senza pensieri, senza rimorsi, né nostalgie, finalmente lontana da sé, lontana da tutto quello che le era costata molta sofferenza. fisica e angoscia morale. Se qualcuno avesse visto quella scena dall’alto, avrebbe notato un insieme di stracci bagnati sulla spiaggia, inerti e abbandonati alla furia dell’acqua, ma non avrebbe fatto caso a quell’essere vivente che era diventato tutt’uno con le gocce, con il vento e con la sabbia. Dopo un tempo infinito, un freddo intenso la ridestò, gelava dal freddo, tremava, il sangue nelle sue vene sembrava essersi rappreso, ebbe la forza di muovere le sue braccia intirizzite e tentò di alzarsi. Non riuscendoci, si rincantucciò su se stessa, ponendo le braccia sotto le gambe e adagiandovi sopra le sua bionda testolina come per nascondere il volto che certamente portava i segni di ciò che non avrebbe mai avuto il coraggio di confessare a nessuno. Rimase così per un po’, ma subito si riscosse e, barcollante, fece qualche passo, dapprima incerto, ma subito dopo più sicuro e deciso e si incamminò verso il mare: voleva togliersi di dosso quella sabbia che ora le dava fastidio, si sentiva sporca, come certamente era la sua anima, tormentata da quel ricordo che le sembrava un incubo vissuto come in un sogno, in un brutto sogno. Si sentiva ancora addosso quel respiro affannato, ansimante, quelle braccia forti e inclementi che l’avevano costretta a giacere su quella stessa spiaggia per soddisfare i repressi desideri di chi non aveva mai avuto una donna per amore, ma solo comprandosela a fior di quattrini. Vedeva ancora i suoi occhi, allucinati, sbarrati, minacciosi che bevevano assetati le immagini del suo corpo di adolescente. Sentiva ancora i suoi passi claudicanti, allontanarsi correndo dopo averle usato violenza.
Finalmente quell’incubo ora era finito, ma restava la cosa più difficile da fare: dimenticare, cancellare, rimuovere dalla sua mente quell’amplesso sporco, violento e lacerante che tuttavia sapeva che avrebbe lasciato un segno indelebile tra i suoi ricordi. Quel dolore al basso ventre sarebbe passato da lì a qualche giorno, ma la profonda cicatrice del suo animo non si sarebbe mai rimarginata.
Il contatto con le ode del mare la fece rabbrividire, sentì più freddo di prima, ma non volle fermarsi né tornare indietro, proseguì rigida e sicura verso quel mare che sembrava allargarle le braccia in un amplesso smisurato, potente, infinito. Si lasciò andare alla forza delle onde che sempre più potentemente la allontanavano dalla riva. Quando fu al largo si riscosse, si rese conto di quello che le stava accadendo: il mare la vinceva con la sua potenza incommensurabile! Capì allora che per lei era ormai finita, a nulla sarebbe valso un suo tentativo di nuotare verso la riva, un’onda immensa la sovrastò, la luce di quel cupo cielo scomparve ai suoi occhi e fu notte per sempre.
Una voce lontana, ovattata, proveniente da una distanza infinita ridestò la sua mente e il suo corpo, inerte da lungo tempo. Martina ebbe un sussulto, non capiva dove si trovava, aveva difficoltà a mettere a fuoco sia le immagini reali sia i pensieri che si affastellavano nella sua mente. Ebbe la sensazione di vedere un’immagine a lei familiare, dapprima sfuocata, poi più nitida: le stava accanto Mario, che cercava di rianimare la sua compagna dei giuochi d’ infanzia, che aveva trovato distesa sulla spiaggia, priva di sensi. Martina stentava ad aprire gli occhi, ma poi si fece forza finché non riuscì a vedere come in un sogno l’immagine di un volto conosciuto, ma che non poteva mettere completamente a fuoco. Li richiuse e sentì venir meno di nuovo le sue forze, cadendo in un torpore quasi mortale. Mario la chiamava con tutta l’ansia che gli procurava quell’amica così preziosa per lui, l’accarezzava, le sfiorava i capelli, la scaldava con il suo alito. Poco a poco Martina rinvenne, ma non si rendeva conto di quello che le era successo, il suo primo istinto fu quello di gridare, ma non aveva più voce in gola, poi scoppiò in lacrime. Dove si trovava? Chi era mai quel ragazzo così premuroso che le stava accanto, che si prendeva cura di lei? Due immagini si sovrapponevano nella sua mente, due sensazioni nettamente diverse, ma tra loro confuse, indistinte… Perse di nuovo i sensi, ma per poco, provò istintivamente di alzarsi, di fuggire lontano da lì, via da lì, ma non riuscì a fare che qualche passo, poi cadde di nuovo sulla sabbia coprendosi il viso con le mani tremanti. Mario cercava di calmarla, di farle capire che era al sicuro tra le sue braccia. Martina non udiva nemmeno le sue parole, sentiva ancora sopra di sé, sulla sua testa il peso di quell’acqua salata e gelata che poco prima voleva annientarla sommergendola. Forse sarebbe stato meglio morire, poiché il ricordo della violenza subita si faceva nettamente strada nella sua mente che non avrebbe voluto ricordare, anzi avrebbe voluto rimuovere come se non fosse mai accaduto.
Tuttavia, come le immagini sbiadite di un film, di tanti fotogrammi sfuocati, le rullavano nel cervello quei momenti vissuti poche ore prima. Mai più, d’ora in poi, avrebbe potuto guardare un uomo senza associare il suo volto, i suoi gesti a quei gesti, a quel volto così terrificanti che purtroppo avrebbero accompagnato la sua esistenza. Mario, non sapendo quello che le era successo, non riusciva a capire il comportamento così strano di Martina, le sue ripulse, le sue reazioni incontrollate ai suoi consueti gesti di amicizia. Le parlò con una dolcezza nuova, chiamandola più volte per nome: "Martina, come mai sei qui all’alba sulla spiaggia deserta? Perché sei così stravolta in viso e inzuppata di acqua salmastra?" Martina non gli rispose subito, ma dopo essersi un po’ calmata gli disse: "Mario, non posso darti nessuna logica spiegazione, perché non c’è nessuna logica in quello che ieri notte mi è accaduto, ti prego lasciami sola, vai via e non cercarmi mai più".